mercoledì 12 ottobre 2011

CREMA PASTICCERA LEGGERA

Questa è una crema che uso quando voglio esaltare la leggerezza di un dolce come la torta d' acqua. La classica crema pasticcera pervede l' uso esclusivo dei tuorli d' uovo, ma rischia squilibrare il risultato finale in un dolce volutamente molto semplice. Ovviamente non vuole essere un' alternativa alla classica ricetta della crema pasticcere che, quando serve, va fatta come si deve.
RICETTA
  • 3 uova intere
  • 150 g di zucchero semolato
  • 35 g di Maizena
  • 400 ml di latte intero
  • 100 ml di panna da montare
  • un limone, la scorza
  • un pizzico di sale
  • facoltativo: un pezzetto di burro per lucidare
  • facoltativo: un cucchiaio circa di liquore per togliere il retrogusto di uovo
PROCEDIMENTO
Portare quasi a bollore il latte con la panna in cui sono state messe in fusione le scorze di limone tagliate a strisce: lasciare profumare. Con un frullatore elettrico sbattere le uova con lo zucchero e il pizzico di sale. Dopo qualche minuto, sempre con le fruste in funzione, unire la Maizena setacciata incorporandola perfettamente: questo sistema scongiura la formazione di grumi nella cottura finale.
A questo punto, io procedo in due modi diversi a seconda dell' ispirazione: microonde o fornello. Quando non ho fretta e sono tranquilla porto nuovamente a bollore il latte e verso il composto di uova e amido tutto in una volta sul liquido. Mescolo subito con un mestolo per amalgamare velocemente la crema che si formerà sotto i miei occhi come per magia:  Luca Montersino docet. Sempre mescolando, lascio cuocere due minuti per scongiurare il retrogusto di farina cruda poi tolgo dal fuoco ma non smetto di girare con il mestolo, ché la crema si brocia proprio in questa fase. Ti fidi e lei si attacca. Incorporo un pezzetto di burro che conferisce lucidità alla crema e una cucchiaiata di liquore (limoncello, Grand Marnier, Strega o altri, a piacere) che aromatizza e allo stesso tempo elimina il retrogusto di uovo che si può sentire in particolare in una crema  appena preparata. E' sempre meglio preparare la crema qualche giorno prima di utilizzarla corservandola in frigo protetta dalla pellicola perchè in realtà "continua a maturare" e ad assumere il suo sapore finale. A volte non la si può fare così in anticipo ed il liquore corregge abbastanza bene.
Quando ho fretta, termino la preparazione della crema nel microonde:intanto lavoro le uova in un contenitore di vetro capace di contenere il volume finale della crema e verso il latte bollente a filo sulle uova amalgamando con il mestolo perché non si formino grumi. Passo al microonde a max potenza per 1 minuto o 2 e mescolo. Ripeto questo passo, diminuendo mano a mano i tempi, fino a quando la crema addensa. Da questo punto in poi, procedo come descritto prima.

martedì 11 ottobre 2011

LA TORTA D' ACQUA DI MAMMA: UN DELIZIOSO MISTERO

Il mistero è infatti proprio questo: come fa una torta dagli ingredienti così semplici ad essere umida e  fragrante, deliziosa, appunto?
La torta d' acqua è quello che si dice "un cavallo di battaglia" di mamma, quel dolce che piace sempre e che tutti si aspettano. A dire la verità, mamma sa cucinare molto bene praticamente tutto ed io sono molto fortunata ad avere una maestra così eccezionale e che oltretutto "non se la tira"!
La torta d' acqua in fondo è come lei: discreta, tanto da poter sembrare un dolce banale (in fondo è una "sponge cake") che però al primo assaggio rivela tutta la sua bontà.
Conosco persone capaci di cucinare decentemente al massimo una sola pietanza e che non fanno altro che cantarsi le lodi da sé asserendo di essere insuperabili. Ovviamente io non amo questo modo di cucinare, che definisco "prestazionale": trovo che sia un tipo di cucina priva del piacere di creare qualcosa di buono e dell' offrirlo con amore e molto piena di spocchia e di voglia di primeggiare.
Questa è la prima volta che affronto seriamente questo dolce, un pò perché tanto c'è mamma che lo fa tanto bene e un pò perché la mia curiosità culinaria era rivolta altrove. Sono però convinta di una cosa: nella cucina, come in tutte le branche della conoscenza, occorre appropriarsi delle regole fondamentali e degli "standard". Infatti è inutile che io sappia fare un grande lievitato (proprio inutile, no!) se poi mi perdo in una montata di uova: ecco perché ho finalmente deciso di imparare a fare la famosa torta d' acqua preparandola  "a quattro mani" con mamma per non perdere neppure un passaggio e consiglio. Leggere una ricetta, per quanto particolareggiata possa essere, non è certamente la stessa cosa che farla davvero ed io ho scritto questo post subito dopo averla fatta  per non scordarmi nulla.
RICETTA
  • 6 uova grandi
  • 450 g di zucchero semolato
  • 260 g di farina per dolci
  • 130 g di fecola di patate
  • 2 limoni, la scorza e un pò di succo
  • 12 cucchiai da tavola di acqua
  • 2 bustine di lievito per dolci
  • un pizzico di sale

PREMESSE
  • Se le uova non sono grandi se ne possono usare 7 medie.
  • La farina deve essere del tipo "alleggerito" ma assolutamente non "autolievitante".
  • Se la massa è montata molto bene (quando si incorporano gli ingredienti fa un rumore sordo) la quantità di lievito può essere ridotta ad 1 bustina.
  • I cucchiai di acqua si contano mano a mano che si addizionano alla massa per cui non serve contarli prima: basta versare dell' acqua in un bicchiere.
PROCEDIMENTO
Accendere il forno con la funzione statico e portare a 170°C.
Imburrare e infarinare uno stampo da torta da 30 cm di diametro.
Separare i tuorli dagli albumi stando molto attenti a non contaminare con tracce dei primi i secondi. Setacciare la farina assieme alla fecola e al pizzico di sale. Grattugiare le scorze dei limoni e spremere un solo limone.
Iniziare a montare i tuorli con lo zucchero e le scorze in planetaria con la frusta a fili. Quando la massa ha iniziato a schiumare unire 2 cucchiai di acqua bollente: ciò riscalda i tuorli che in questo modo aumentano molto la capacità di emulsionare l' aria. Sì, perchè l' ingrediente più importante nella preparazione di questa torta è proprio l' aria ed è fondamentale catturarne il più possibile all' interno della massa di uova. Ecco perché bisogna lasciare montare le uova senza fretta per almeno 10 minuti fino a quando non diventano chiarissimi, quasi bianchi.
A questo punto,sempre con la planetaria in funzione, incorporare la farina a porzioni alternandola a cucchiaiate di acqua tiepida: in questa fase la massa non deve cambiare la sua consistenza ma il suo volume. Dopo avere utilizzato 9 cucchiai d' acqua, versare nel bicchiere il succo di limone filtrato: si otterrà una soluzione acidulata e profumata. Andare avanti ad incorporare la farina e gli ultimi 3 cucchiai di acqua. Nell' ultima porzione di farina setacciare il lievito e addizionarlo alla massa.
In questa fase non si può perdere tempo per cui sarebbe meglio avere gli albumi montati a neve fermissima già pronti: si monteranno mentre la planetaria lavora da sola, altrimenti bisogna darsi una mossa. Incorporare alla massa montata gli albumi montati inserendoli  almeno in tre volte e mescolando con il solito movimento "dal basso verso l' alto" della spatola per mantenere il più possibile la montata. Trasferire subito nello stampo e infornare per 40-45 minuti, come ho detto, in forno statico. Io purtroppo al momento non possiedo un forno che mi permette di escludere la ventilazione per cui scelgo la funzione con il calore SOLO dal basso seppur ventilata. Devo fare molta attenzione, ma si ha comunque un ottimo risultato.
In cottura la torta aumenta molto di volume anche se un pò si abbassa appena tolta dal forno. Trascorso il tempo, controllare la cottura con uno stecchino che dovrà fuoriuscire pulito dal dolce. Dopo 5 minuti, trasferire la torta su una gratella e lasciare sfreddare. La torta può essere conservata, chiusa in un sacchetto per alimenti per preservarne l' umidità, alcuni giorni in frigo ma può essere anche congelata.     

Questa torta ha davvero bisogno di poco altro: può essere servita semplicemente con una spolverata di zucchero a velo, magari accompagnandola con della crema inglese, oppure può essere farcita con crema pasticcera e glassata con una ghiaccia al limone che conferisce una nota fresca al dolce.


Grazie, mamma.

giovedì 8 settembre 2011

I CULURGIONES OGLIASTRINI:SFIDA A SA SPIGHITTA E A SU PIBIONI

I culurgiones ogliastrini sono inseriti nel data base alimentare di ogni sardo già prima della sua nascita, cosicché vengono dati per scontati, come il pane carasau o il cannonau. Essi fanno parte della cultura dei nostri antenati pastori che con questi saccottini trasportavano riserve di energia per i frugali pasti su al pascolo. Li preparavano le donne utilizzando quel poco, ma buono, che la natura offriva proprio in questo periodo, cioè all' inizio dell' estate, quando le greggi non avevano a disposizione l'erba fresca e si alimentavano con quella secca. Il latte che veniva munto non aveva la fragranza e i grassi di quello dei mesi freschi, ma era ugualmente buono per preparare un formaggio, su viscidu o cas' e vida,  da conservare sotto sale o in salamoia, buono per insaporire le zuppe o le insalate o, appunto, per conferire il tipico sapore ai culurgiones. Servivano poi le patate, quelle di montagna, saporite e più ricche di amido di quelle di pianura, l' aglio e la menta che cedevano i loro aromi all' olio d' oliva e davvero poco altro. La sfoglia era (ed è) preparata esclusivamente con semola di grano duro rimacinata finissima (Granito), farina 00, sale e acqua. niente uova, che al tempo era un cibo prezioso e si consumavano tal quali.
culurgiones erano cotti in acqua non salata, dato che la sapidità è tutta dentro, e venivano incasati disponendoli su uno strato di pecorino grattugiato e ricoperti con un altro strato dello stesso .Andavano lasciati stufare qualche minuto coperti in modo da far fondere il formaggio ed in questo modo erano facili da trasportare e soprattutto da riscaldare posandoli su pietre arroventate con le braci.
Oggi che i tempi di questa pastorizia così spartana sono quasi del tutto scomparsi, i culurgiones si servono come primo piatto incasandoli semplicemente con il pecorino o con un sugo di pomodoro semplice e un poco di formaggio.
Quella che rimane sconosciuta ai più è la tecnica della chiusura dei culurgiones, ossia come realizzare quel ricamo a spighitta che termina con una punta, su pibioni.
Per andare a ripescare nella mia memoria il primo ricordo legato ai culurgiones ogliastrini devo tornare davvero molto indietro negli anni, a quando avevo circa dodici anni ed ero in vacanza in Ogliastra con la mia famiglia. Il fatto che io abbia un ricordo nitidissimo di una gita a Lanusei, dove per la prima volta vidi realizzare questi adorabili saccottini davanti ai miei occhi di bambina, la dice lunga sulla profondità della mia passione per la cucina. Ai tempi, mai avrei  potuto immaginare che avrei amato a tal punto cucinare. Tant' è, però, che in quell' occasione desiderai imparare a fare i culurgiones. I miei occhi, infatti, seguivano ipnotizzati i movimenti velocissimi delle mani mentre queste creavano la famosa spighitta (avrei conosciuto questo termine solo molti anni dopo), senza riuscire minimamente a capire come questa si formava.
Qualche anno fa feci un tantativo del tutto autodidatta, allenandomi con della plastilina e ottenendo, non si sa come, un risultato discreto ma i movimenti erano istintivi e inconsapevoli, tanto che a distanza di anni non riuscivo a ricordarli. 
Per risolvere "l' empasse" ho partecipato recentemente ad un breve, quanto piacevole, corso monotematico tenuto dalla chef executive Gabriella Narciso e cosi dopo ore di tentativi e infinite litanie di "angolo, angolo, angolo, pibioni", eccola finalmente sotto i miei occhi: sa spighitta, un bellissimo ricamo di pasta che termina con un peduncolo, chiamato appunto pibioni, la cui abilità a realizzarlo veniva considerato di grande valore, in tempi lontani da programmi come "Uomini e Donne", se una ragazza era in età da marito.
Ma ecco la ricetta
Per il ripieno
  • 500 g di patate rosse farinose
  • 100 g di pecorino grattugiato
  • 100 g di olio EVO
  • "cas'e vida" q.b.
  • 1 spicchio d' aglio
  • foglie di menta
per la sfoglia
  • 300 g di Granito
  • 300 g di farina 00
  • sale
  • acqua
PROCEDIMENTO
Per prima cosa si mettono a lessare le patate e nel frattempo si prepara la sfoglia. Unire le due farine e il sale .......Ma, quanto? La mia maestra Gabriella mi ha mostrato un sistema infallibile e affascinante che consiste nel fissare la farina e prelevare con la mano e senza guardare il sale quanto l' istinto suggerisce alla mano stessa. E' una teoria un pò new age, ma funziona.
Intridere le farine con l' acqua a piccole porzioni fino ad ottenere una massa abbastanza grezza e asciutta. Avvogere con pellicola e mettere a riposare per almeno mezz' ora.
 Scolare le patate, pelarle quando sono ancora calde e passarle con lo schiacciapatate, raccogliendole in una ciotola.
In un pentolino riscaldare l' olio con l' aglio fino a quando intorno allo spicchio si sono formate tante bollicine. A questo punto spegnere la fiamma, togliere l' aglio e unire la menta tritata finemente. Io uso le foglie di menta fatte essicare al sole e sbriciolate con le dita.


Condire le patate con questo olio aromatizzato, il pecorino e su casu e vida gratuggiato, introducendo gli ingredienti a porzioni amalgamando con le mani e assaggiando. Il ripieno dovrà risultare mediamente morbido e abbastanza sapido.
Tenere da parte e cominciare a lavorare l' impasto della sfoglia che - lo noterete - sarà notevolmente ammorbidito dopo il riposo, nonostante inizialmente si presentasse poco manipolabile. Passare un pezzo di pasta per volta nella macchina per tirare la sfoglia ripetendo più e più volte fino a quando non diventa chiara e setosa. Terminare la sfogliatura con i rulli in posizione 2 e ricavare dal nastro di pasta tanti dischi di pasta con l' aiuto di un coppapasta di 8 cm di diametro. 

A questo punto - come si dice? - " Forza e Coraggio!", affrontiamo la temutissima chiusura "a spighitta" . Adagiare una bella noce di ripieno di patate sopra un disco di pasta sistemandolo nell' incavo tra il pollice e l' indice della mano sinistra (se si è destrorsi). Premere un pò con l' indice destro andando a formare una specie di taco messicano. Pizzicare con l' indice e il pollice destri l' ansa all' estremità destra,  portarla verso l' ansa che si sarà formata sul lato sinistro del culurgioni e pizzicarle assieme. Portare la chiusura verso il lato destro e pizzicarla all' ansa che si è venuta a formare su quel lato. Alternare le pizzicate una volta su un lato e una sul lato opposto. Dopo l' ultima pizzicata, terminare chiudendo su culurgioni arrotolando tra le dita la pasta a formare un peduncolo allungato, su pibioni, appunto. A parole, la descrizione risulta molto contorta, ma già guardando il video si capisce meglio . Dopodiché non resta che provare e riprovare senza arrendersi ai primi tentativi imperfetti: solo la pratica di tante chiusure regalerà alle mani la fluidità desiderata.


Sistemare i culurgiones preparati su un vassoio rivestito con carta forno e spolverato con Granito e cospargerli ancora con Granito affinché non si attacchino tra loro. Un altro sistema consiste nell' alloggiarli in pirottini individuali di carta oleata, quelli che si usano per i dolcetti. 
A questo punto, i culurgiones possono essere cucinati subito oppure congelati dopo averli opportunamente sistemati in un vassoio e prottetti con le apposite buste da freezer.
Per cuocere i culurgiones utilizzare una pentola più larga che alta in modo da poterli sistemare in un unico strato. Usare acqua NON SALATA per non alterare l' equilibrio della sapidità tra la pasta e il condimento e, una volta raggiunto il bollore, far cadere i culurgiones uno ad uno in modo che il fondo sia coperto uniformemente. Occorre essere veloci e dare poi una veloce, ma delicata, mescolata per evitare che si attacchino al fondo e si buchino. Quando vengono a galla sono praticamente cotti perché la pasta non contiene uovo (che ha bisogno di una cottura più lunga ) e possono essere scolati con un mestolo forato o un "ragno".
Il modo più antico per condirli consiste nel disporli in strato unico su un piatto da portata cosparso abbondatemente di pecorino gratuggiato e cospargerli ancora con tanto formaggio. a questo punto, si copre il tutto con un altro piatto e si lascia incasare  per dieci minuti almeno.   
Un altro modo per gustarli in maniera tradizionale prevede di condirli con un sugo di pomodoro molto semplice e pecorino gratuggiato.

Una mia idea ( ma ci avrà senz' altro pensato qualcun altro) di ispirazione finger food è quella di realizzarli un realizzarli più piccoli (5 cm circa) ,  friggerli e accompagnarli con una salsa di pomodoro crudo profumata con qualche goccia di aceto e alcune gocce di olio alla menta.


Un ultimo modo di mangiare i culurgiones, quello più tradizionale, prevede di cuocerli alla piastra (al posto delle pietre arroventate) e condirli con tanto pecorino.

lunedì 5 settembre 2011

CROSTATA DI FICHI E MANDORLE, ANCORA UNA VOLTA, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI

Leggere il post di Stefania e desiderare di provarne la ricetta è stato naturale.  Ricevere in regalo un pò degli ultimi fichi neri della stagione e decidere che, sì, questo era un segno del destino, beh - che ve lo dico a fare?- è stato imperativo.
I fichi che si trovano in questo periodo sono più piccoli e molto meno succosi di quelli che si mangiano allo inizio dell' estate: sono, infatti, "fichi di seconda", ossia i frutti della seconda fioritura  della pianta che alle porte dell' autunno regala, nella sua generosità, frutti più adatti alla conservazione in vista dell' inverno. ....Questa Natura ne sa una più del diavolo! Il maggiore grado zuccherino e la minore acquosità, infatti, rendono questi piccoli fichi adatti all' essiccazione, a fare confetture e alla cottura, in generale.
Mentre realizzavo questa crostata riflettevo sul fatto che essa possiede tutte le caratteristiche di una Quiche: il guscio in pasta brisèe, il ripieno cremoso a base d' uovo che accoglie ingredienti tagliati a pezzi. Il mio studio sistematico della Cucina Francese attraverso il "Mastering" di Julia Child mi farebbe inserire questo dolce tra le Quiches sucrèes piuttosto che tra le Tartes, ma questo è un ragionamento puramente accademico e non cambia minimamente il fatto che questa Crostata di fichi e mandorle è deliziosa.
Io l' ho preparata in un' afosissimo pomeriggio e devo dire che il suggerimento di lavorare la brisèe con l' impastatrice e la frusta K è stato determinante ad evitare la "bruciatura" certa della farina se l' avessi lavorata con le mani, come faccio sempre con impasti di piccole quantità. Il risultato è stato un guscio fragrante e croccante ed ha meritato il lavaggio di qualche utensile in più. Anche la crema di mandorle (...una Frangipane?...mi documenterò) l' ho lavorata con un frullatore, ma "purtroppo" quella che è rimasta attaccata alle pareti della caraffa l' ho dovuta mangiare. Pazienza.
Ecco la ricetta:
per la crosta
  • 160 g di farina 00
  • mezzo cucchiaino di sale
  • mezzo cucchiaino di zucchero
  • 113 g di burro freddo
  • da 2 a 4 cucchiai di acqua ghiacciata
per il ripieno
  • 100 g di mandorle pelate
  • 75 g di zucchero
  • un uovo intero
  • 40 g di burro morbido
  • 2 cucchiaini di farina
  • un pizzico di sale dei fichi maturi, bianchi o neri
  • poco succo di limone
Preparare la brisèe con il metodo "sabbiato" (lo stesso indicato da Julia), intridendo la farina, il sale e lo zucchero con il burro ghiacciato tagliato a cubettini. In questa fase, come ho detto, è utilissima l' impastatrice per evitare di manipolare l' impasto e rovinarlo. Unire l' acqua in cucchiaio alla volta, quel tanto che basta ad aggregarla e non una goccia di più. Togliere dalla ciotola, avvolgere in pellicola e fare riposare due ore in frigorifero. Io avevo fretta ed ho appiattito la pasta attraverso la pellicola passandola solo mezz' ora in frezeer (come consiglia Luca Montersino). Devo dire che era ugualmente perfetta e stendibile anche in uno strato molto sottile direttamente su un foglio di carta forno.
Preparare la crema frullando le mandorle con lo zucchero fino ad ottenere una polvere fine e poi unire lo uovo, il burro morbido, il sale e la farina. Spalmare la pasta brisèe con questa crema lasciando 2-3 cm di bordo libero. Disporre i fichi, precedentemente tagliati a spicchi e spruzzati con succo di limone. Rincalzare verso l' interno la pasta sulla crema e i fichi e spennellare i bordi creatisi con poco uovo sbattuto.
Trasferire la crostata con il foglio su una placca o in uno stampo e cuocere per mezz' ora a 180° e poi abbassare a 170° per 10-15 minuti fino a che la pasta non è ben dorata.
Come osserva Stefania, mangiata il giorno della sua preparazione è ottima, ma, credetemi, il giorno dopo si lascia mangiare alla grande.....per rispetto alla sue perfezione del giorno prima! ....Forse è una giustificazione troppo debole, ma ha una sua dignità.
Ho idea che questo tipo di dolce sia ottimo anche con altra frutta, come mele, pere, susine, ciliegie, pesche ecc., per cui questo sarà solo il primo della serie.

I PANCAKES E I LUOGHI CHE TI VOGLIONO BENE

Anche un luogo può volerti bene. Un luogo può abbracciarti avvolgendoti con la sua rigogliosa bellezza, può baciarti sfiorandoti dolcemente con la sua tiepida luce, può farti sentire amato rallegrandoti con le mille voci degli ucellini, delle ranocchie e dei grilli. Quel luogo per me e la mia famiglia è la casa al mare a Villasimius. Qui tutti noi sentiamo che le preoccupazioni e i fastidi del quotidiano si allontanano. Qui riusciamo a recuperare quella parte di noi più semplice, in sintonia con la natura e i suoi ritmi.
Daltronde, che cosa deve pensare una persona sana di mente mentre si dondola su un' amaca fissata ai rami di un carrubo gigante? Se poi questo albero crea una grande volta con le sue foglie che lasciano passare scintille di sole che neanche la Cappella Sistina...
I pensieri che prendono forma sono necessariamente basici, come ad esempio una colazione senza fretta con i pancakes appena fatti, irrorati con sciroppo d' acero o spalmati con Nutella o confettura. Pensarli e farli sono un tutt' uno e quindi ecco la ricetta:
  • 250 g di farina 00
  • 2 cucchiaini di baking
  • 1 pizzico di sape
  • 2 cucchiai di zucchero di canna
  • 25a ml di latte
  • 2 uova
  • 50 g di burro fuso
  • cannella o noce moscata
  • sciroppo d' acero e noci pecan
Sciogliere il burro direttamente nella padella che si userà per fare i pancakes. Sbattere le uova con il latte e a parte setacciare la farina con il lievito, le spezie, il sale e unirvi lo zucchero. A queste polveri incorporare il latte e le uova e poi il burro fuso: dovrà risultare un composto liscio, ma un pò denso. Riscaldare la padella  e versare un mestolino di pastella. Voltare il pancake quando si gonfia e la superficie si ricopre di bollicine e lasciare cuocere fino a doratura anche l' altro lato. Impilare i pancakes come vengono tolti dalla padella e tenerli in caldo.
Riscaldare lo sciroppo d' acero in una padellina assieme alle noci pecan e irrorare i  pancakes prima di servire.
I miei bambini vanno matti per i pancakes spalmati di Nutella, ma anche lo sciroppo d' acero semplice è ottimo, come pure un pò di burro fuso....purtroppo!
Una colazione con pancakes, una spremuta e un caffé e in testa un dubbio amletico: meglio andare a fare il bagno a Cava Usai o a Campu Longu, a Is Molentis o a Cala Pira, a Porto Sa Ruxi o ai "Cavoli"? .....davvero Lassù qualcuno ci vuole un pò di bene!

domenica 7 agosto 2011

IL CRUMBLE DI CILIEGIE .....PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI!

L' idea di realizzare questo dolce si è concretizzata l' altro giorno mentre acquistavo della frutta e della verdura dal mio fruttivendolo di fiducia, signor Sandro. Il mio sguardo si è posato su una cassetta di bellissime ciliegie, grandi e quasi nere. Distrattamente ho rifflettuto su fatto che probabilmente erano anche le ultime della stagione (in fondo luglio non è precisamente il mese delle ciliegie!) e inaspettatamente nella mia mente si è formato il pensiero:"Voglio preparare un dolce con le ciliegie!.....un Cafoutis oppure un Crumble ...ma sì, vada per il Crumble, il Clafoutis lo farò con le prugne nere!
Capire poi perché alla vista delle ciliegie io pensi a come cucinarle e non, invece, a farmene una scorpacciata in totale solitudine, beh, è un altro discorso.
Mentre tornavo a casa con il mio sacchetto di ciliegie, la mia mente era già partita, come una macchina da guerra, a teorizzare le varie fasi della ricetta e a calcolare le quantità dei vari ingredienti, accertandomi mentalmente di avere in casa tutto quanto necessario.
Mancava, però, ancora qualcosa: il motivo per cui farlo, questo dolce. Sì, perché inconsciamente ho bisogno di una giustificazione da propinare ai miei in questi tempi critici di prove-costume e iperglicemie varie. In realtà, io amo talmente cucinare e in particolare fare dolci, che lo farei solo per guardarli ....prima di divorarli! 
Ecco: preparerò il Crumble di ciliegie per festeggiare l' weekend a Villasimius. ....Potrà bastare come scusa?
La casa di famiglia a Villasimius è per me una consuetudine dai tempi dell' adolescenza, ma è, soprattutto, il Paradiso Terrestre per i miei bambini che qui entrano in una dimensione più naturale, più avventurosa (chi non vorrebbe avere un rifugio su un albero?), ma molto più semplice rispetto alla loro vita in città fatta di orari, compiti e incombenze varie.
A luglio, quindi, weekend significa soprattutto ricongiungerci, dopo una settimana di lavoro, ai bambini raggiungendoli "a Villa" dove loro passano l' estate con i nonni, per cui questa è un' occasione da festeggiare.
Per realizzare il Crumble ho scelto la ricetta di Paoletta ,che cosidero una Maestra, e che qui ne realizza una versione molto classica. La prossima volta seguirò la ricetta di Barbara che con il suo blog dedicato non può che essere affidabile.

Mi sono quindi messa all' opera pesando tutti gli ingredienti, preparando quello che in gergo si chiama "l' apparecchio" per il Crumble, ma devo dire che rispetto alla maggior parte delle ricette che ho affrontato finora, si tratta di una preparazione molto semplice. Ecco dunque le dosi:
  • 600 g di ciliegie grandi e sode
  • 125 g di burro
  • 125 g di zucchero semolato
  • 200 g di farina
  • cannella qb
La prima cosa da fare è tagliare il burro a cubetti e metterlo a ghiacciare perchè ciò è fondamentale per la riuscita delle "briciole". Nel frattempo si mondano e denocciolano le ciliegie sistemandole in una pirofila di servizio imburrata, facendone uno strato uniforme. Riscaldare il forno a 200°C.
Una volta che il burro è pronto, passarlo qualche secondo al mixer assieme allo zucchero e alla farina fino ad ottenere le "briciole" (crumbles, appunto). Profumare con la cannella e ricoprire le ciliegie con il composto distribuendolo anche con le mani.

Passare in forno per 30-40 minuti o fino a quando dalla superficie dorata non fuoriesce, qua e là, dello sciroppo di ciliegie denso e brillante.
Togliere dal forno e lasciare intiepidire prima di servire, ovviamente senza sformare, accompagnando con del gelato al fior di latte.
Non sottovalutate la bontà di questo dolce perché esso è solo apparentemente semplice e tutt' altro che banale. Vi stupiranno i suoi deliziosi contrasti: il tiepido del crumble e il freddo del gelato, il morbido della frutta e il croccante delle "briciole" vi conquisteranno.

lunedì 11 luglio 2011

LA TARTE DES MADEMOISELLES TATIN E I CIBI EVOCATIVI

Amo viaggiare. Visitare nuovi paesi soddisfa la mia naturale curiosità e il mio inesauribile desiderio di imparare. Sono però quel tipo di viaggiatore che abbandona immediatamente il distacco tipico di uno straniero per cercare di trasformarsi in abitante del luogo in cui si trova; più che mantenere un atteggiamento da osservatore, cerco di mettere temporaneamente radici.Tendo, infatti, a familiarizzare con gli spazi, gli odori e il modo di vivere della località in cui mi trovo per farli miei e osservare dall' interno ciò che mi circonda.  
Il risultato è che quasi sempre mi innamoro dei luoghi in cui sono stata e al mio rientro mi accompagna un' ombra di nostalgia dovuta all' inevitabile distacco. Mi aiutano a lenire questo sentimento le foto e qualche oggetto acquistato, ma nulla per me è più evocativo del cibo: con i suoi colori, il suo profumo e il suo sapore esso va a recuperare le mie emozioni e i miei ricordi più profondi. Ciò non è poi così strano, se si pensa che quando ci si trova in un paese straniero ci si affida, anche se temporaneamente, proprio al cibo per poter sopravvivere; il rapporto che con esso si viene a creare è necessariamente forte. 
Immagino che da questo discorso siano escluse tutte quelle persone che cercano la pasta e la pizza in qualunque angolo della terra si trovino, anche a costo di ingurgitare delle solenni schifezze, di cui vorranno dimenticarsi subito e per sempre. Ma, tant' è, non siamo tutti uguali!
A fine giugno sono stata a Parigi assieme a mio marito e i nostri figli per far conoscere loro questa bellissima città. Sono stati giorni stancanti e intensi, ma meravigliosi. Nonostante per me fosse la quarta volta che vi ritornavo, è stato bellissimo mostrare ai nostri bambini quello che sarà parte del loro bagaglio culturale e della loro esperienza di vita. Considero il poter mostrare il mondo ai nostri figli, un vero e proprio privilegio, che oltretutto permette a noi di osservare con occhi nuovi anche ciò che già conosciamo.  La Tour Eiffel, ad esempio, per noi sarà da ora in poi la Torre di Fel, perché così l' ha battezzata il nostro Andrea, abilissimo creatore di parole nuove! Fare da guida a Marco lungo i corridoi e le sale del Museo del Louvre per mostrargli la Parte Egizia, quella che lui studierà ora che va in terza elementare, è stato un vero onore.  
Più prosaicamente, tutte le mie giornate si concludevano con il dolce di fine cena che era immancabilmente la Tarte Tatin in altrettante versioni, più o meno convincenti. Questo esperimento, per nulla faticoso, mi è servito per avere dei punti di riferimento utili per riuscire a riprodurre questo classicissimo dolce una volta tornata a casa.
Qualche giorno fa ho organizzato una cena in onore dei nostri anfitrioni parigini, nel frattempo giunti a Cagliari, i notri amici Luca e Cathy, lui sardo, lei irlandese: entrambi trapiantati nella Ville Lumière per lavoro.
Per il menù della serata ho optato per delle pietanze sarde, ache se liberamente interpretate, considerando il fatto che avrebbe fatto loro piacere ritrovare i sapori tipici della nostra Terra. Anche il dolce doveva essere tipicamente sardo, le mie seadas preparate per tempo e stoccate in freezer, ma all' ultimo momento non ho resistito e ho deciso di preparare la Tarte Tatin, perché mi è sembrata una cosa carina nei confronti dei nostri amici. 
Il vero motivo è che la Tarte Tatin è il mio cibo evocativo della città di Parigi ed io mi trovo ancora in piena nostalgia post viaggio e  l' occasione era troppo ghiotta per non approfittarne: prepararmi la Tarte e allo stesso tempo offrirla come omaggio ai miei ospiti. ...La verità è che sono un genio del male!
Se la scelta del dolce è stata un pò articolata, è stato invece automatico andarne a cercare la ricetta sul " Mastering the art of French Cooking" di Julia Child e come sempre la traduzione del testo mi ha rivelato la cura di Julia nell' indicare ogni minimo dettaglio della ricetta.
Ho servito la Tarte Tatin a temperatura ambiente, accompagnandola con due quenelles di crème fraiche homemade e prima ancora di riuscire ad assaggiarla, avevo già ricevuto dai miei ospiti i complimenti per la bontà del dolce. Roberto, il mio critico più impietoso, ha dichiarato che questo era il dolce più buono che avessi mai fatto, ma quando Luca ha detto che la mia Tarte Tatin era ancora più buona di quella che servono a Parigi, beh, io ero vicina alle lacrime!!
In effetti è un dolce davvero buono a dispetto della sua basicità e tuttaltro che banale, a riprova del fatto che merita a pieno titolo di essere annoverato tra i capisaldi della pasticceria internazionale.E', oltretutto, un dolce che si può preparare con pochissimo stress, specialmente se si tiene in freezer una scorta di pate brisée sucrée e se in casa ci sono sempre un pò di mele gialle.    
 La Tarte Tatin, infatti, non è tale se non ha la "pate brisée sucrée" come base e se le mele non sono caramellate, quindi niente pasta frolla o pasta sfoglia e attenzione a non ottenere delle semplici mele cotte.
Ecco ora la ricetta, presa dal "Mastering" con le dosi convertite nelle nostre unità di misura anche se io mi diverto molto ad usare cup e tablespoon (tbs).
  •  Kg 1,8 di mele sode adatte alla cottura (Golden Delicious)
  • 64 g di zucchero semolato
  • facoltativo: 1 cucchiaino di cannella
  • 28,35 g di burro morbido
  • uno stampo di 24 cm di diametro e profondo 6 cm (il pyrex è molto pratico dato che si può controllare la cottura della torta)
  • 95 g di zucchero semolato
  • 85 g di burro fuso
  • una dose da 1 cup di pasta brisée sucrée
  • un foglio di alluminio, se necessario
  • un piatto da portata resistente al calore
  • 500 ml circa di crème fraiche
per la pasta brisée sucrée:
  • 90 g di farina 00
  • una ciotola
  • 1 cucchiaio di zucchero granulato
  • una presa di sale
  • 78 g di grasso: 56 g di burro freddo e 22 g di shortening*
  • 37-45 g di acqua ghiacciata
*: lo shortening è un grasso vegetale bianco, utilizzato nei Paesi Anglossassoni e che io ho sostituito con della margarina di ottima qualità

La pasta brisée sucrée si prepara nello stesso modo in cui si prepara la brisée normale, con la differenza che prima di unire il grasso la farina va amalgamata allo zucchero e al sale. Sfregare tra le mani la farina e il grasso tagliato a piccoli cubetti quel tanto che basta ad ottenere un composto simile ai fiocchi d' avena e spruzzare su di esso l' acqua ghiacciata compattando con le mani fino a raccogliere tutta la farina. A questo punto si procede al "fraisage", la manipolazione finale dell' impasto che consiste nel pressare la massa con la radice della mano strisciandola sul piano di lavoro leggermente infarinato, raccogliendola e ripetendo il gesto. Alla fine impastare brevemente e formare una palla che andrà avvolta con carta forno e lasciata riposare per qualche ora o, meglio tutta la notte, oppure congelata.
Ora che  si è preparata la pasta, si può procedere ad allestire la torta.
Dividere le mele in quarti, togliere il torsolo e sbucciarle. Tagliarle in fette verticali spesse circa 4 mm e raccoglierle in una ciotola capiente mescolandole con lo zucchero e la cannella.
Imburrare lo stampo abbondando in modo particolare sul fondo, cospargerdolo con metà dello zucchero previsto e sistemandoci sopra un terzo delle mele. Cospargere con un terzo del burro fuso. Ripetere facendo uno strato con metà delle mele rimaste e del burro e terminare con l' ultimo strato di mele e burro. Cospargere le mele con tutto lo zucchero rimasto.
Preriscaldare il forno a 190° C.
Stendere la pasta brisée fino ad uno spessore di 3-4 mm, ritagliarne un disco e sistemarlo sopra le mele rincalzando i bordi facendoli scendere lungo i lati interni dello stampo. Praticare 4 o 5 fori di qualche millimetro per permettere al vapore di fuoriuscire in cottura.

Sistemare sul terzo in basso del forno e cuocere per 45-60 minuti. Se la pasta dovesse colorirsi troppo, coprirla con il foglio di alluminio.

La Tarte è pronta quando, premendola, fuoriesce uno sciroppo denso e dorato tra la pasta e il bordo dello stampo. Sformare immediatamente capovolgendo lo stampo sul piatto da portata. Se le mele non dovessero essere perfettamente dorate, è possibile recuperarle cospargendole con dello zucchero semolato e passando la Tarte sotto il grill fino a che superficie non caramellizza leggermente.
Servire la Tarte Tatin tiepida accompagnandola con della crème fraiche, che io mi sono fabbricata montando della panna e mescolandola con yogurt greco per renderla un pò acidina, dal momento che qui da noi è introvabile.

giovedì 2 giugno 2011

GLI ARANCINI SICILIANI PER MARCO

                                                                                                                                                                      Gli arancini sono stati il primo piatto della cucina siciliana che ho mai assaggiato. Era, infatti, il pranzo al sacco di Claudia durante le gite della scuola ai bei tempi del liceo. Claudia era di madre sicula di Mazara del Vallo, e non avrebbe mai lasciato mangiare alla sua bambina dei banali tramezzini, motivo per cui le riempiva lo zainetto di fragranti arancini che poi tutti noi facevamo fuori. Questo è il motivo per cui io da allora associo i pranzi in campagna, al mare o comunque fuori casa a queste meraviglie siciliane.
Mio figlio Marco in questi ultimi giorni di scuola è impegnato nelle prove per la recita di fine anno che alcuni giorni si protraggono anche nel pomeriggio cosicché mangia a scuola assieme ai suoi compagni e alle maestre. L' idea di preparargli gli arancini da mangiare a pranzo è stato automatico e mi sono messa all' opera: ho subito  recuperato la ricetta che tenevo riposta dalla volta che li avevo realizzati sull' onda di un viaggio in Sicilia dal quale ero tornata "rintronata" dalla bontà di ciò che avevo mangiato. La cucina siciliana è abbastanza diversa da quella sarda, una "barocca" e l' altra "minimale", ma entrambe hanno una cosa in comune: la qualità eccezionale delle materie prime necessarie a realizzare i piatti tipici,per cui la differenza è abbastanza relativa.
Questo è un piatto che va allestito in più momenti, dato che il riso deve essere lasciato sfreddare a temperatura ambiente e il ragù è più buono se viene fatto il giorno prima.
Ragù con piselli
  • 300-400 g di carne macinata due volte di vitello e di maiale
  • cipolla tritata finemente
  • carota e sedano tritati finemente
  • 500 g di passata di pomodoro
  • 500 g di polpa fine di pomodoro
  • 20-30 g di concentrato di pomodoro
  • 300 g di pisellini, anche surgelati
  • vino rosso, possibilmente Marsala
  • semi di finocchio pestati
  • olio d' oliva
  • sale qb
Soffriggere la cipolla nell' olio lasciandola ammorbidire ma non dorare e poi unire la carne tritata facendola rosolare e perdere i liquidi che tira fuori. Sfumare con il vino e attendere che evapori prima di aggiungere la passata e la polpa di pomodoro. Lasciare cuocere per una ventina di minuti mescolando e aggiungendo acqua per evitare che tiri troppo e attacchi. Aggiungere il concentrato e dopo alcuni minuti anche i piselli continuando la cottura per una mezz' oretta. Salare leggermente in eccesso (il fritto tende a coprire i sapori) e profumare con i semi di finocchio. A cottura ultimata si deve ottenere un sugo denso e corposo che va lasciato sfreddare alcune ore prima di essere pronto.
Riso (per circa 28-30 arancini)
  • 2 kg di riso semifino
  • una cipolla
  • zafferano
  • formaggio misto pecorino-vaccino grattugiato
  • 3 l di acqua
  • sale qb
Mettere il riso e l' acqua in una pentola capiente assieme alla cipolla tagliata a croce senza staccare completamente gli spicchi. La cipolla, oltre a profumare, rilascia una sostanza che migliora l' adesività dei chicchi di riso. Mescolare continuamente il riso con una spatola di legno come si fa per il risotto per evitare che si attacchi. Quasi a fine cottura unire lo zafferano sciolto in poca acqua calda. Togliere dal fuoco quando il riso è ancora al dente perché continuerà a cuocere durante la successiva fase di preparazione. Condire con abbondante formaggio grattugiato e trasferire in una teglia affinché lo si possa stendere in uno strato non troppo grosso e lasciare sfreddare a T° ambiente.
Preparazione degli arancini
  • il riso preparato e a T° ambiente
  • il ragù preparato e a T° ambiente
  • formaggio ragusano o simile tagliato a piccoli cubetti
  • prosciutto cotto tagliato a piccoli cubetti
  • pan grattato homemade
  • farina, possibilmente di riso
Mettere dell' acqua in una ciotola larga e aggiungerci un pò di farina: ciò servirà a bagnare le mani e fornire un pò di amido per aiutare la massa di riso ad essere più stabile in cottura. Disporre delle ciotole con gli altri ingredienti in modo che siano tutti vicini. Iniziare bagnandosi le mani nell' acqua e prendere una porzione di riso: farne una palla e con il pollice della mano destra scavare creando una cavità e assottigliandone in maniera uniforme le pareti in uno spessore di circa mezzo centimetro. Versare dentro la cavità del ragù senza essere avari per avere un giusto equilibrio tra riso e condimento. Inserire qualche cubetto di formaggio e di prosciutto e chiudere l' arancino sempre con la mano destra. Bagnarsi nuovamente le mani nell' acqua e lavorare l' arancino in una sfera regolare. Passare nel pangrattato e lavorare sempre con le mani per farlo aderire bene. Inumidirsi nuovamente le mani e bagnare leggermente l' arancino per poterlo passare una seconda volta nel pangrattato: ciò conferirà all' arancino una crosticina più croccante. Man mano che vengono preparati,disporre gli arancini in un vassoio e lasciarli riposare almeno due ore per fare in modo che gli amidi si stabilizzino.

Riscaldare abbondante olio in una casseruola capiente a sufficienza per fare i modo che gli arancini possano stare immersi completamente nell' olio bollente durante la frittura. Impostare la T° a 190°C e in circa 8 minuti si otterranno degli arancini ben dorati: passarli in carta assorbente e salarli bene subito. Trasferire in un bel vassoio man mano che si frigge.
Gli arancini non vanno mangiati caldi, ma tiepidi anche se quando ci si trova fuori casa ogni temperatura va bene.
La prima volta di Marco con gli arancini mi sembra sia andata bene: a lui sono piaciuti molto e così anche ai suoi compagni. Questo significa che anche nella nostra casa ci sarà una tradizione di gite scolastiche e arancini, se Dio vorrà.

I CARAMELLATI DI ZIA GEGIA

                                                                                                                                                                Da anni conosco zia Gegia attraverso i suoi dolci che allietano le tante feste e ricorrenze dei suoi figli, nipoti e pronipoti. La bella sensazione di ritrovare ogni volta la favolosa Torta Gianduia e la spettacolare Torta Meringata è dovuta al fatto che sono indiscutibilmente buone e belle. Domenica scorsa ho finalmente conosciuto zia Gegia di persona: è una piccola donna di 95 anni con i capelli tutti bianchi e acconciati come si conviene ad una signora della sua età. La guardavo e pensavo alla forza magnetica di questa signora che negli anni ha contribuito all' armonia della sua grande famiglia attraverso la sua totale dedizione ad essa. Immaginavo il suo essere sempre presente nei momenti di necessità, come nelle occasioni di gioia: lei che ama preparare dei dolci così straordinari per i suoi cari, certamente non si sarà tirata indietro se c'era bisogno del suo aiuto. Così mi immagino questa donna, anche perché conosco la sua famiglia e tutti, ma proprio tutti, hanno quell' attitudine al condividere, all' accogliere, all' offrire se stessi attraverso il proprio lavoro che oggi incontro davvero molto di rado.
L' occasione è stata la festa per la Prima Comunione dell' adorabile Alice, apripista della generazione di bimbi che tutti noi amici stiamo contribuendo a rinforzare:ogni compleanno o ricorrenza in cui ci ritroviamo è l' occasione per vedere come il tempo passa ed è bello che sia così.
Il pranzo è stato organizzato nella casa al mare di famiglia, di una bellezza quasi imbarazzante con il suo spettacolare panorama di tutto il Golfo di Cagliari. Nei vari tavoli, sistemati in diverse zone della casa, erano disposte tantissime pietanze, antipasti, primi, secondi e dolci. Questi ultimi, in particolar modo, mi hanno affascinato per il loro assortimento, la loro bellezza e bontà. Le nipoti della mitica zia Gegia, degnissime eredi, avevano  studiato e realizzato tutte quelle meraviglie in varie fasi negli ultimi due mesi.
Non mancava la famosa Torta Meringata, ma c'era la Zuppa Inglese Meringata decorata quasi come una Cassata Siciliana, il Flan di latte, il Tiramisù, vari gelati fatti in casa, fragole affogate nella crema pasticcera e i "Caramellati" di zia Gegia.
Quando zia Giovanna mi ha parlato di questi deliziosi dolcetti, forse per modestia o per poca consapevolezza di quanto siano invece eccezionali, ha detto "......e poi ci sono i caramellati, ma piacciono solo alla nostra famiglia...!", come fossero i "brutti anatroccoli" della tavola.
Invece io ho subito pensato che fossero bellissimi da vedere, quanto fragranti e profumati da mangiare e mi sono informata immediatamente su come fossero stati realizzati. Probabilmente qualcuno non avrà capito la ragione della mia totale concentrazione nell'ascoltare e memorizzare le parole della zia Giovanna che mi descriveva come si doveva procedere, ma ormai ci sono abituata. Chi come me e questa generosissima signora prova gioia nel cucinare per i suoi cari mi capirà perfettamente......gli altri sono liberi di pensare che si tratta di una perdita di tempo!
Proverò prima possibile a realizzare questi buonissimi dolcetti e posterò la ricetta e il procedimento, ma desideravo presentarli nel mio blog, aprendo con questo post una speciale etichetta: i dolci di  zia Gegia, nel quale saranno raccolti i miei modestissimi tentativi di realizzare i suoi famosi dolci.   

giovedì 19 maggio 2011

LA QUICHE LORRAINE DI JULIA

Anche questo incontro è avvenuto per caso, come forse tutto accade nella vita, se ci si fa un pò di attenzione. A volte ciò che ci spinge in una direzione può essere una persona, un libro, una canzone. Questa volta per me è stato un film, "Julia and Julie", a farmi entrare nel mondo meraviglioso di quella donna straordinaria che è Julia Child. Straordinaria fù la sua vita, in un' epoca di grandi cambiamenti di cui essa stessa è stata una fautrice. Julia ha cambiato le rigide regole dell' ortodossia degli chef francesi che prima di allora non avevano mai aperto le porte delle loro cucine agli stranieri;ha cambiato la concezione che una donna potesse realizzarsi davvero attraverso le sue passioni;ha dimostrato a tutti che quando davvero si vuole insegnare qualcosa a qualcuno, lo si può fare solo dando informazioni precise e preziosi consigli.
Fra tutte queste cose, ciò che mi ha entusiasmato di più è stato proprio quest' ultimo aspetto perché della cucina in genere, e della pasticceria in particolar modo, amo i "perché" che si celano dietro ogni gesto. Da farmacista quale sono, adoro vedere la chimica e la fisica applicati alla vita quotidiana.
Julia non possedeva lauree ma voleva che tutti potessero realizzare una ricetta come lei stessa riusciva a farla. Una generosità, una modestia e una sicurezza di sé davvero rari. E' infatti molto più facile incontrare chef pieni di sé e  tutt' altro che desiderosi di condividere le loro conoscenze con gli altri! Gente che non ti spiega ciò che è veramente importante e, soprattutto, non te lo fa vedere.
Tornando a Julia, ovviamente ho subito acquistato il suo primo libro, "Mastering the Art of French Cooking", incurante del fatto che sia in inglese e non ne esista una versione in italiano. Sprezzante del "pericolo", ho iniziato immediatamente la ciclopica impresa di tradurre tutti e due i volumi. Naturalmente, ogni tanto mi fermo a realizzare ciò che traduco e devo dire che tutte le ricette che ho eseguito seguendo le indicazioni di Julia non hanno mai fallito. Quando cucino, infatti, lei è con me attraverso le sue indicazioni, i suoi consigli che mi accompagnano nell' esecuzione, come un' affettuosa presenza. ....Non sto impazzendo!....E' solamente l' effetto dell' imponente full immersion che comporta la traduzione di questo libro, che crea una sorta di "conoscenza" con la persona di cui "senti" le parole.
Questo libro, inoltre, è una vera miniera di ricette: saranno centinaia. Hai voglia a sperimentare!
La prima ricetta da "The Mastering" che posto è quella della QUICHE LORRAINE, anche se non è la prima in ordine di realizzazione. Questa, in sé, non è una preparazione difficile, ma proprio per questo motivo spesso si tende a modificarla e a banalizzarla. Non trovate vero che quando dobbiamo affrontare una ricetta complessa, difficilmente ci azzardiamo a non eseguirla pedissequamente, quasi fosse un rito propiziatorio affinché tutto vada bene? Quando invece la ricetta è semplice, ci rilassiamo e la personalizziamo, snaturandola.
Questo è sicuramente il motivo per cui difficilmente si è riusciti a mangiare la arcifamosa Quiche Lorraine nella sua classica versione francese.
Altro aspetto che mi ha stimolato a preparare questo piatto è il fatto che bisogna imparare una volta per tutte a fare la PASTA BRISEE', che tra tutti gli impasti è forse quello più trascurato, sostituito quasi sempre con la Pasta Sfoglia, che ormai vendono anche nei tabacchini!
La Quiche Lorraine, come tutte le Quiches in generale, è comoda da preparare anche con qualche ora di anticipo (meglio gustarla tiepida) e soprattutto si presta ad essere servita come antipasto, come secondo o come contorno. Un vero jolly: basta avere scorte di pasta brisée homemade stoccate in frezeer, uova, panna, bacon e aromi.
ingredienti per la pasta brisée
  • 280 g di farina 00
  • 85 g di burro e 28 g di margarina vegetale*
  • 45-60 g di acqua ghiacciata
  • 2,5 g di sale
  • una punta di cucchiaino di zucchero per dare colore alla pasta brisée
*: il testo parla di shortening, un grasso bianco di origine vegetale usato nei paesi anglossassoni che io ho sostituito con della margarina di prima qualità.

In una ciotola capiente mettere la farina setacciata, il burro e la margarina freddi e tagliati in piccoli pezzi, il sale e lo zucchero. Sfregare con le mani le polveri e il grasso fino ad quando la massa non apparirà della consistenza dei fiocchi d' avena. Non prolungare questa operazione oltre il minimo necessario. Unire l' acqua e amalgamare velocemente con una mano e togliere le parti aggregate mettendole su un piano di lavoro. Spruzzate ancora qualche goccia d' acqua per finire di aggregare il resto della farina. Portare anche questa sul piano e pressate il tutto in una palla grossolana. A questo punto si passa a quello che Julia chiama le fraisage, ossia la manipolazione finale dell' impasto che consiste nel pressare la massa con la radice della mano (che è più fredda del palmo) strisciandola sul piano leggermente infarinato, raccogliendola e ripetendo il gesto. Alla fine impastare brevemente per formare una palla, infarinarla leggermente e avvolgerla in carta forno. Se deve essere utilizzata a breve, metterla in frigorifero per almeno due ore;se, invece la state preparando per stoccarla,dividetela in panetti pesati, avvolgeteli in pellicola, chiudeteli in una busta per congelare e conservateli in freezer.
ingredienti per il ripieno
  • 6-8 fette di spessore medio di bacon
  • 3 uova oppure 2 uova e 2 tuorli
  • 350-400 ml di panna da montare (grasso minimo 35%) o metà latte e metà panna
  • 5g di sale
  • un pizzico di pepe
  • un pizzico di noce moscata
  • 30-40g di burro a dadini
Tagliare il bacon a listarelle e farle bollire per cinque minuti in un pentolino in acqua. Scolarle e metterle in una ciotola contenente dell' acqua fredda. Quando sono fredde, raccoglierle e asciugarle in carta assorbente.
Stendere la pasta brisèe in uno strato sottile e foderare uno stampo da 24 cm circa.Bucherellare il fondo e coprire con carta forno e sassolini per evitare che gonfi. Cuocere in bianco per 8-9 minuti in forno caldo a 200° C.
Sbattere le uova con la panna e i condimenti. Distribuire le listarelle di bacon sul fondo della guscio di pasta brisèe premendole perché aderiscano. Versare la panna e le uova nel guscio, distribuire i dadini di burro e riportare in forno, sempre a 200°, per 25-30 minuti o fino a quando la quiche si gonfia e la superficie diventa dorato.
Togliere da forno e lasciare intiepidire prima di servire.
Come avete visto, la preparazione della quiche lorraine è di una banalità estrema; quello che lo è meno , ma che determina la riuscita di questo piatto, è il fare le cose proprio come vanno fatte.
Provate questa ricetta, tenendo conto che è quella insegnata a  L' Ecòle Le Cordon Bleu a Parigi, è il razionale, insomma.

lunedì 16 maggio 2011

LA FALSA BOTTARGA

Voglio essere chiara: questo non è un artificio per sostituire le ineguagliabili uova di merluzzo di Cabras con poca spesa. Chi conosce il profumo, la fragranza e la giusta sapidità che sa di mare di questo alimento sa che voler risparmiare comporta immediatamente un crollo del gusto. Io uso questa "polvere" come insaporitore per primi a base di pasta, di mare o meno. L'aspetto certamente inganna, ma nella finta bottarga non c'è la minima traccia di pesce. Si tratta in realtà di buon pane grattugiato, insaporito con olio d' oliva e profumato con rosmarino secco. Facile, no? Quello che magari è meno scontato è il recuperare dell' ottimo olio di proprietà e scovare del rosmarino cresciuto nelle vicinanze del mare, con una sua sapidità e profumo particolare.
RICETTA
  • pane grattugiato in casa
  • olio d'oliva EVO (che ve lo dico a fare?)
  • aghi essiccati di rosmarino
  • sale qb
Prendere una padellina antiaderente e, senza mettere alcun condimento, riscaldare il pangrattato fino a quando non prende colore tostando leggermente. Non smettere mai di mescolare con una spatola per evitare che il pane bruci e prenda uno sgadevole sapore amarognolo e fare attenzione che la fiamma sia veramente bassa. Meglio impiegarci qualche minuto in più, che dover buttar via tutto. Quando la massa ha preso un bel colore dorato, togliere subito dal fuoco e unire l' olio e continuare a mescolare per controllare quanto ne richiede. Ogni pane ovviamente è diverso e assorbirà una quantità non prevedibile di olio. Fermarsi quando la massa appare leggermente umida e aggregata. A questo punto unire una manciata di rosmarino e del sale controllandone il gusto a vostro piacere. Passare nuovamente qualche secondo alla fiamma per permettere agli olii essenziali di sprigionarsi leggermente ma senza far cuocere l' olio. Quando la massa è divenuta fredda può essere conservata in barattoli di vetro perfettamente puliti e asciutti e tenuta in frigorifero.
Io uso questo insaporitore per dare personalità ad una pasta condita solo con olio, aglio e peperoncino(capita anche alle più maniache della cucina di non avere voglia o fantasia!), ma anche per esaltare i sapori di una pasta più elaborata, come le penne con le melanzane o i miei DITALI CON FILETTO DI TONNO, POMODORINI CONFIT E FINTA BOTTARGA, che posterò a breve. La finta bottarga conferisce al piatto sapidità, profumo, ma anche un contrasto di consistenze che scongiura l' appiattimento dei sapori in una pietanza. Va assolutamente cosparsa sulla pasta già impiattata per evitare che ammorbidisca e "scompaia" trasformandosi in una odiosa pappetta.

martedì 26 aprile 2011

LE SEBADAS, O COME VINCERE FACILMENTE


E' davvero difficile non soddisfare i propri ospiti presentando le seadas alla fine di un pasto. Questo dolce, infatti, è amato sia da chi non predilige cibi troppo elaborati, sia da chi si perde nella ricerca delle sue mille sfumature e contrasti. Chi ha avuto la possibilità di mangiarlo in Sardegna saprà certamente che, se da un lato non è proprio difficile realizzarlo (non stiamo parlando di Cucina Francese!), è altrettanto vero che non si può prescindere dall' uso degli ingredienti originali, come il pecorino di giornata e il miele più puro. Il risultato è legato in maniera imprescindibile alla scelta delle materie prime. La Cucina Sarda in effetti è tutta così: molto semplice, tranne pochi casi, ma intransigente sulla qualità degli ingredienti usati. ....Altrimenti, meglio mangiare pane e formaggio!
In questo aspetto io mi sento profondamente legata alla mia terra: una pietanza va realizzata come comanda la ricetta originale, senza cercare scorciatoie o succedanei. Ciò vale per il cibo sardo come per quello di tutto il mondo.....Altrimenti, meglio pane e formaggio!
La ricetta che ho realizzato mi è stata data da un' amica, Carla M., molto gentile che assieme ad essa mi ha anche recuperato il vero pecorino già fatto inacidire dal pastore. Come dire che il 90 % è già fatto.
Ed ora ecco la ricetta:
per la sfoglia
  • 500 g di semola rimacinata finissima
  • 100 g di strutto
  • 1 uovo
  • acqua qb
per il ripieno
  • 500 g di formaggio pecorino frechissimo
  • scorza gratuggiata di un limone
  • scorrza gratuggiata di un' arancia
  • semola, se occorre
per guarnire
  • miele purissimo
  • zeste di limone e arancia
Procedimento
Tre giorni prima di doverlo utilizzare per le seadas, lasciare il formaggio a T° ambiente appeso ad un canovaccio pulito in modo che inacidisca al punto giusto.
Preparare la sfoglia lavorando la semola con l' uovo e la poca acqua che serve a compattare l' impasto e incorporare lo strutto a piccole porzioni. Deve risultare una massa già un pò liscia e non troppo molle. Avvolgerla nella pellicola e lasciarla riposare.
Preparare il ripieno passando il formaggio con un passaverdure o tritandolo finemente e facendolo fondere in una casseruola a fondo spesso e antiaderente fino ad ottenere una massa fusa e filante. Rovesciare il formaggio su di un piano in granito (o simile) e stenderlo in uno strato spesso 3 mm circa con la punta delle dita o con una spatola di plastica, aspettare che solidifichi e tagliarlo in dischi con un coppapasta. N.B.: la dimensione del disco di formaggio deve essere almeno 2 cm inferiore rispetto alla dimensione finale della seada. Far fondere i ritagli e procedere nuovamente a stendere e tagliare.
Tirare la sfoglia sottilissima (spessore "2") dopo averla passata più volte a spessori più grossi. La sfoglia va lavorata bene per permetterle di fare le bolle in frittura.
Disporre i dischi di formaggio sulla sfoglia distanziandoli opportunamente e ricoprirli con un' altra sfoglia. Cercare di eliminare l' aria premendo leggermente con la mano e tagliare la seada con sa sarretta (rotellina dentellata), aiutandosi con un coppapasta per ottenere un cerchio perfetto.
Le seadas possono essere tenute da parte e fritte in giornata, oppure possono essere congelate sistemandole tra fogli di carta forno e chiudendole in buste da frezeer. Possono essere fritte anche congelate, ma occorre stare attenti alla temperatura dell' olio. Le seadas  devono risultare dorate e ricoperte di bollicine, mentre il loro ripieno deve essere fuso e cremoso.Passarle su carta assorbente per eliminare l' eventuale unto e disporle nei piatti di servizio.
Riscaldare il miele in una padellina assieme alle zeste degli agrumi per qualche minuto e cospargere con esso la seada senza essere troppo avari né troppo generosi.
Le seadas vanno mangiate subito accompagnandole con un buon vino moscato.